Friday, November 13, 2009

Shiur Chaye Sarah_Shulchan Shabat 135

Bellezza Fisica e Perfezione Spirituale

 

Gli anni di sarà furono cent’anni, vent’anni e sette anni – gli anni della vita di Sarà (Bereshìt 23, 1)

 

Riguardo al versetto “gli anni di sarà furono cent’anni, vent’anni e sette anni insegna il Midràsh[1]: “Hashèm conosce i giorni delle [persone] integre”[2]: così come esse sono integre, lo sono gli anni della loro vita. A vent’anni Sarà era bella come una bambina di sette, a cento era priva di peccato (pura) come a venti”. Da questo commento risulta che Sarà era perfetta sia nelle azioni, che nella bellezza.

 

Questa conciliazione fra due elementi in apparenza distinti, se non opposti, richiede un’analisi approfondita. Dalle parole del Midràsh emerge che la perfezione fisica di Sarà – a vent’anni Sarà era bella come una bambina di sette –  non ne descrive solamente la bellezza esteriore, bensì anche la sua eccellenza in ambito morale e spirituale.

La domanda che si pone è quindi: come può la bellezza fisica essere espressione anche della perfezione spirituale?

 

L’unione fra due opposti

L’unione fra anima e corpo, fra spirito e materia, è l’unione fra due elementi diametralmente opposti. L’anima è divina per definizione e trascende tempo e spazio. Il corpo, invece, dipende da essi e ne è soggiogato; qualunque mutamento in questo senso (quali l’età, le circostanze, i luoghi...) influiscono su di esso.

Tuttavia, quando si può constatare su una persona che né l’età, né le esperienze vissute, né le difficoltà affrontate hanno lasciato segni sul suo corpo, è perché la luce dell’anima lo pervade a tal punto che il fisico stesso riesce a portarsi al di là delle proprie limitazioni, godendo dell’eternità e dell’infinità proprie all’anima.

 

È questa la particolare perfezione che la Torà attribuisce a Sarà: la luce della sua anima la illuminava a tal punto da manifestarsi anche nell’aspetto esteriore del suo corpo.

 

Come affrontare le “minacce” esteriori

In generale, quando una persona si trova a dover affrontare un ambiente contrario alla sua fede, a ciò in cui crede e ai suoi valori, essa può adottare tre diversi atteggiamenti per superare difficoltà di questo genere:

a)   vivere pienamente all’interno di questa società e, pur avendo naturale tendenza tendere a lasciarsene influenzare, impegnarsi con la massima risoluzione a resisterle;

b)   allontanarsi e staccarsi drasticamente dall’ambiente, senza così subirne affatto l’influenza negativa;

 

Il problema di questi due approcci è che essi concepiscono a priori l’ambiente come una minaccia per l’uomo, che egli è tenuto ad affrontare con grande forza d’animo oppure con un allontanamento radicale.

V’è tuttavia una terza possibilità:

c)    che la persona stessa irradi l’ambiente circostante di una luce tanto potente, da divenire la figura dominante e maggiormente influente; automaticamente, nulla rappresenta più una minaccia e non rimane più nulla di cui temere.

Il terzo approccio è quindi quello ideale, in cui la società e l’ambiente non rappresentano alcun perciolo per l’uomo, in quanto egli stesso la “forgia” in base ai propri valori.

 

Raccogliere la luce dell’anima

Anche nell’ambito del rapporto fra anima e corpo, si presentano le tre possibilità di cui sopra:

a)   l’uomo affronta le tentazioni e i desideri del corpo con grande forza di volontà, risolutezza e vigore. Le tentazioni indubbiamente lo attraggono, ma la sua volontà gli permette di resistere loro;

b)   egli si stacca da tutto ciò che abbia a che vedere con la materia e con i desideri fisici e si immerge totalmente nello spirito. Il risultato è che né il corpo, né le sue debolezze influiscono su di lui.

Di nuovo, questi due approcci, per quanto lodevoli, presentano delle lacune. In entrambi i casi, infatti, il corpo rimane una realtà staccata dall’anima, per la quale esso rappresenta un pericolo; l’anima deve quindi affrontarlo.

La vera perfezione tuttavia si raggiunge quando l’uomo accresce la propria luce spirituale a tal punto da far sì che il corpo si annulli completamente dinanzi all’anima. In questo caso il corpo diviene il “recipiente”, il contenitore in cui la luce dell’anima viene raccolta, aiutando quest’ultima a realizzare pienamente le sue aspirazioni spirituali.

 

Questa era la particolarità di Sarà: la sua anima irradiava una luce tanto potente da far sì che il suo corpo ne fosse il contenitore. Esso assorbì e assimilò la forza e l’eternità dell’anima, al punto che né il tempo, né lo spazio influissero su di esso o ne intaccassero la grandiosa bellezza.

 

Risulta quindi che la descrizione dell’aspetto esteriore di Sarà era anche lo specchio del suo splendore spirituale e della perfezione delle sue azioni, al punto da renderne il corpo stesso perfettamente bello.

 

(tradotto dal libro “Shulchàn Shabàt”e basato su un discorso del Rebbe di Lubavitch)


[1] Bereshìt Rabbà.

[2] Salmi 37, 18.


Sunday, September 27, 2009

storia Kippur

BH

I

Tutto cominciò su un aereo Jumbo della British Airways, linea Londra- New York.

 

“Mi chiamo Robert”, disse un uomo sulla sessantina, assai calvo e con il naso pronunciatamente all’insù, incrociando lo sguardo di reb Yossef. I due avrebbero trascorso molte ore uno accanto all’altro e tanto valeva ammazzare la noia con quattro chiacchere. La conversazione prese ben presto una piega amichevole, finché, alquanto rapidamente, i due uomini trovarono un punto che li accomunava.

“Vedo che è ebreo”, disse Robert e reb Yossef annuì. “Anch’io lo sono, anche se non ho nulla a che fare – ma proprio nulla – con la religione ebraica”.

Da quel momento la conversazione si volse verso tematiche filosofiche, quali la fede e i sentimenti umani.

 

La hostess passò fra i passeggeri distribuendo i famosi (o famigerati) vassoi bollenti del pasto caldo. Reb Yossef notò immediatamente che quello del suo compagno di viaggio era tutt’altro che kashèr.

In cuor suo non se la sentiva di rimanere indifferente e di ignorare il fatto, anche se non sapeva esattamente come reagire e se reagire.

Alla fine si fece coraggio e, schiarendosi la gola, si rivolse a Robert: “Forse non è del tutto corretto da parte mia intromettermi nei suoi affari, ma... ehm... prima di uscire di casa mi sono preparato del cibo per il viaggio. Se lo desidera, posso darle con piacere il mio pasto kashèr e mangiare ciò che mi sono portato da casa”.

Robert fissò reb Yossef negli occhi, impugnò la forchetta con forza e, con un gesto di sfida, la conficcò nella carne che aveva nel vassoio.

“No! Le ho già detto che non  ho nessun legame con la religione ebraica e che non mi interessa affatto osservarne le leggi. Ce l’ho con D-o!”. Poi aggiunse: “Mangio cibo tarèf perché ce l’ho con Lui!”.

Reb Yossef interrogò Robert con lo sguardo, in attesa che continuasse. Senza rendersene conto, questi posò la forchetta sul vassoio e prese nervosamente a tamburellare con le dita sul piano estraibile su cui era appoggiato il vassoio, che ormai pareva interessargli ben poco.

Ce l’ho con Lui” proseguì “perché non ha protetto il mio Itzkel, il mio figlio unico”.

Reb Yossef capì che Robert serbava un dolore profondo nel cuore, cui ora dava in qualche modo sfogo. Annuì, in attesa che l’uomo continuasse il suo racconto.

“Abitavamo a Lodz, mia moglie, io e il nostro figlio unico di otto anni, Itzkel. Fino allo scoppio della Shoà conducemmo una vita alquanto serena, ma poi la situazione precipitò molto rapidamente. Quando iniziammo a capire la gravità del pericolo che ci minacciava, era ormai troppo tardi per fuggire. I nazisti ci rinchiusero nel ghetto.

“Un giorno i soldati irruppero nel ghetto e fecero uscire un gruppo di ebrei composto da uomini, donne e bambini. Ci condussero a un grande campo, fuori città, e ci separarno brutalmente, mettendo gli uomini da una parte, le donne da un’altra e gli anziani e i bambini da unaltra ancora. Poi ordinarono a noi uomini di scavare delle fosse profonde.

“Scavammo per diverse ore, quando improvvisamente udimmo una serie di spari. Evidentemente qualcuno aveva tentato la fuga e i soldati spararono addosso non solo a lui, ma anche a un gruppo di donne e bambini che si trovava in prossimità. Il mio cuore cessò per un attimo di battere quando vidi Itzkel accasciarsi al suolo. E quando corse verso di lui per soccorrerlo, anche mia moglie fu ammazzata sul posto”.

Robert tirò un lungo sospiro. Era evidente che il racconto di questa terribile storia gli costava grandi sforzi e lo rendeva folle di dolore.

Ce l’ho con Lui” ripetè “perché mi ha portato via Itzkel”.

Reb Yossef aveva ascoltato attentamente la storia e ne era rimasto colpito. Ci volle non poco tempo finché il suo compagno di viaggio si riprese. Reb Yossef tentò delicatamente di discutere sulla Shoà dalla perspettiva di chi ha fede e crede nella Provvidenza Divina. Con questa breve e penosa discussione la conversazione fra i due giunse a termine.

 

L’aereo atterrò all’aeroporto JFK della New York e i due compagni si separarano, ciascuno per la propria strada.

 

II

Trascorsero sette mesi, giunse il mese di elùl e si avvicinarono i giorni del giudizio. Yerushalayim, come ogni anno, si pregnò di una santità unica, propria solo alla regina delle città.

Fu proprio in quei giorni che Reb Yossef giunse a Yerushalayim, come usava ormai da molti anni, per trascorrere i giorni santi nella città a lui tanto cara. Occupava da anni un posto fisso in una delle sinagoghe di Katamon, dove partecipava regolarmente alle preghiere di Rosh Hashanà e di Yom Kippùr.

 

III

 

Yom Kippùr. La profonda serenità mista a grandiosa riverenza e timore che regnavano a Yerushalayim erano quasi tangibili. Le vie della città erano immerse nel silenzio, per una volta del tutto esonerate dal viavai di autobus e vetture. Solo le preghiere che eccheggiavano dalle sinagoghe rompevano l’incanto, ricordando agli ebrei, anche ai più lontani, che in quel giorno le porte del Cielo sono aperte ad accogliere le richieste e le suppliche di chiunque solo desideri avvicinarsi ad Hashèm.

 

Nelle sinagoghe di Katamon, dove si svolge la nostra storia, come ogni anno si unirono alle preghiere molti “ospiti”, i cosiddetti ebrei del Kippùr. I loro tallitòt come nuovi, ancora candidi, con le pieghe ben accentuate, lasciavano intendere che erano rimasti chiusi per tutto l’anno in chissà quale armadio.

 

Dopo la lettura della Torà, il gabbày della sinagoga annunciò una pausa di un quarto d’ora prima della preghiera di Yizkòr[1] per consentire anche a coloro che abitavano lontano di giungere in tempo in sinagoga.

 

Reb Yossef si tolse il tallìt e uscì dalla sinagoga a prendere una boccata d’aria. L’uomo seduto sulla panchina vicino alla sinagoga non avrebbero attirato la sua attenzione, se non fosse stato per la sigaretta che fumava con palese ostentazione. Quando scorse l’ebreo ortodosso, con indosso il kittel[2], l’uomo mise la sigaretta ben in mostra, con un gesto provocatorio che non lasciava spazio a equivoci: lo scopo era di offendere, infastidire, profanare e provocare l’ebreo che gli stava passando davanti.

Reb Yossef quasi lo ignorò proseguendo oltre, quando, come un fulmine, un’immagine molto chiara gli elettrizzò la mente. Il volto di quell’uomo gli era ben impresso nella memoria. Si voltò, lo esaminò per qualche istante e sì, era proprio Robert.

Senza pensarci due volte, reb Yossef gli tese le mani e, con una grande sorriso sulle labbra, lo salutò: “Sholem Aleychem, Robert!”.

Ora anche Robert lo aveva riconosciuto. Lanciò una rapida occhiata di scherno alla sigaretta, poi a reb Yossef, come per dire: “Ebbene, che cosaha da dire su questa?”.

Reb Yossef ignorò la sfida. “Oggi è Yom Kippùr! Forse desidera entrare con me in sinagoga, a pregare un po’? È un giorno speciale, il giorno più santo dell’anno...”.

Erano le parole che Robert si aspettava. “Gliel’ho già detto che ce l’ho con Lui e che  non voglio averci nulla a che fare. Da quando ci siamo conosciuti quel giorno, in aereo, Itzkel non mi è ancora stato restituito...”.

Dalle parole di Robert traspariva un’ostinazione tipica di chi ha sofferto profondamente e serba in cuore un rancore profondo.

Reb Yossef, dal canto suo, non si mosse, profondamente addolorato. Pensava alle barriere che impedivano a quell’anima ebraica a congiungersi al Creatore.

“Se è adirato con D-o, è affare suo”. Reb Yossef ora tentava di giocarsi un ultimo jolly. “Ora però stiamo per recitare la preghiera di Yizkor, in cui si commemorano le anime dei defunti, dei martiri e delle vittime, chiedendo che vengano rettificate e che godano di eterno riposo. Lei aveva un figlio unico e inifinitamente caro. Per quarant’anni non lo ha mai ricordato in nessuna preghiera e forse ora è giunto il momento di entrare in sinagoga e di recitare lo Yizkòr e la preghiera di “Kel malé rachamìm” in sua memoria. Solo una piccola preghiera, per concedergli riposo nei mondi superiori”.

Robert reagì con un gesto che valeva più di mille parole, ma l’espressione di disprezzo era ormai svanita. Reb Yossef se ne rese subito conto e cercò nuovamente di convincere l’amico. Capì infatti che era in corso una lotta senza quartiere fra la ragione e i sentimenti più profondi.

Trascorsero alcuni minuti e Robert, senza dire una parola, si alzò, gettò la sigaretta e seguì l’amico. In sinagoga, reb Yossef lo fece accomodare al proprio posto. Poi si diresse verso il chazàn, che si trovava già sulla tevà, pronto per riprendere le preghiere. Reb Yossef gli espose brevemente la storia di Robert: “C’è qui una persona che non ha messo piede in sinagoga per quarant’anni. Ora ha acconsentito a farlo per commemorare il suo figlio unico, morto nella Shoà. La prego, reciti per lui un “Kel malé rachamìm” particolarmente commovente”.

Il chazàn annuì, lasciando intendere che avrebbe provveduto. Le preghiere ripresero e il “Kel malé rachamìm”, recitato dal cantore con tanto fervore e sentimento, commossero profondamente tutti i presenti.

Reb Yossef osservò Robert con la coda dell’occhio. Visibilmente pallido e sconvolto, teneva con forza il leggìo sforzandosi di rimanere in piedi. Reb Yossef era lieto di essere riuscito ad aprire una breccia nelle mura che cingevano il cuore dell’amico.

Quando giunse al nome del defunto, il chazàn volse uno sguardo interrogatorio a Robert, che si affrettò a rispondere: “Yitzkhak ben Reuven”. Il chazàn chiuse gli occhi e ripetè ad alta voce: “...l’anima di Yitzkhak ben Reuven”. Quindi proseguì la preghiera, quando improvvisamente si interruppe e guardò nuovamente Robert. Poi proseguì fino alla fine.

 

Al termine della commemorazione dei defunti, il chazàn scese dalla tevà e si incamminò con passo deciso verso Robert. Era visibilmente sconvolto.

“Itzkowitz?”, chiese con un’unica parola.

Robert lo fissò e annuì.

 

“Papà?!?” esclamò il chazàn, in tono interrogativo, incredulo e sicuro allo stesso tempo. Robert si ritrasse di un passo, fissò il chazàn e fu allora che lo riconobbe.

“Oh, Itzkel!”, esclamò, prima di perdere i sensi.

 

 

IV

Di questa incredibile storia si parlò a lungo nel quartiere. Come dopo un sonno lungo decenni, come al risveglio da un sogno incredibile, ben presto emersero i dettagli della meravigliosa vicenda. Itzkel raccontò al padre che mentre la madre era rimasta uccisa sul colpo dagli spari dei soldati tedeschi, lui era rimasto solo lievemente ferito.

 

Per quarant’anni padre e figlio erano rimasti separati e lontani l’uno dall’altro.

Ora, nel giorno in cui i figli si ricongiungono a loro Padre, si erano ritrovati per sempre.

 

 

Storia raccontata da rav Yossef Hazan di Manchester


[1] Commemorazione dei parenti defunti.

[2] Il kittel è un particolare indumento bianco che si indossa a Yoim Kippùr, per assomigliare agli angeli


Monday, September 7, 2009

Shiur Rosh hashanà_Shulchan Shabat 259

BH

 

 

 

Come Confondere il Satàn?

 

 

Per Confondere il Satàn

(Shulchàn ‘Arùch dell’Admùr Hazakèn)

 

Nello Shulchàn ‘Arùch[1] vi sono numerose halachòt particolari concernenti Rosh Hashanà, il cui scopo è quello di “confondere il Satàn”. Ad esempio, non si menziona il fatto che Rosh Hashanà è anche Rosh Chodesh; lo Shabbàt precedente Rosh Hashanà non si benedice il nuovo mese; alla vigilia di Rosh Hashanà non si suona lo shofàr . Tutto ciò “per confondere il Satàn”. Fra l’altro, questo è anche uno dei motivi per cui si suona lo shofàr nel mese di elùl...

 

Sorge spontanea la domanda: il Satàn è un angelo che si presenta alla Corte Celeste, la Corte Suprema in assoluto, del mondo della verità, e lì fa sentire le argomentazioni della sua accusa[2]. Non è un bambino, il Satàn, e neppure un essere umano adulto privo di materia grigia. È una creatura celeste, un angelo di Hashèm. Come si può quindi “confonderlo” e per di più con mezzi talmente semplici, ben noti e che si ripetono di anno in anno? Qual è quindi il significato del concetto di “confondere il Satàn” sul quale si basano diversi usi e halachòt di Rosh Hashanà, il Giorno del Giudizio?

 

Indebolirlo e Scoraggiarlo

 

La chiave di questo mistero si trova nel Talmud[3], dove viene affrontato l’argomento del suono dello shofàr a Rosh Hashanà: “Disse Rabbi Yitzchàk... perché talvolta si suona (lo shofàr ) quando (i presenti) stanno seduti e talvolta quando stanno i piedi? Per confondere il Satàn”. Spiega Rashì: “Affinché (il Satàn) non accusi. Sentendo che Israèl amano le mitzvòt, non avrà più niente da dire”. Da ciò si deduce che il concetto di “confondere il Satàn” non va inteso letteralmente, ossia che con azioni e fatti semplici si possa confondere un angelo, bensì che con esse si mettono a tacere le sue argomentazioni. Quando vede l’amore che gli ebrei nutrono per le mitzvòt, il Satàn semplicemente rimane inerme.

 

Alla luce di questo approccio, è possibile comprendere anche il significato delle altre azioni compiute al fine di confondere questo angelo. Quando gli ebrei suonano lo shofàr nel mese di elùl, il Satàn vede che si risvegliano alla teshuvà e che vengono scagionati dalle loro colpe ancor prima di Rosh Hashanà; a Rosh Hashanà stesso, quindi, non gli resterà più nulla su cui fondare le proprie accuse.

Per questo motivo non si suona lo shofàr alla vigilia di Rosh Hashanà: così facendo, si rende manifesto e chiaro il fatto che gli ebrei abbiano fatto teshuvà ancor prima del giorno del Giudizio e per questo motivo non necessitano dello shofàr per risvegliarsi. Vedendo la fiducia degli ebrei nutrono nella loro vittoria, il Satàn rimane semplicemente senza parole.

 

 

L’esposizione delle armi

In maniera analoga è possibile comprendere, con una parabola, anche la halachà per la quale non si benedice il mese di tishré nello Shabbàt che lo precede, né si menziona il fatto che Rosh Hashanà è anche Rosh Chodesh: un esercito preferisce non esporre al nemico la totalità delle armi di cui dispone, affinché questi non investa troppi sforzi nel tentativo di sconfiggerlo. Contro un esercito mediocre, si investono infatti solo sforzi mediocri. Anche in questo caso, non menzionando i due aspetti di cui sopra, con i quali gli ebrei acquisiscono ulteriori meriti, si riesce a confondere il Satàn e a non incoraggiarne gli sforzi.

D’altro lato, non menzionando queste cose di fatto si privano gli ebrei di mitzvòt che potrebbero far pendere la bilancia  dal lato giusto!

Per un motivo “marginale”, di confondere il Satàn, dovremmo forse rinunciare a questi grandi meriti – quello di menzionare Rosh Hashanà come Rosh Chodesh nelle tefillòt e quello di benedire il mese di tishré? Rinunciare così facilmente a due mitzvòt proprio quando ne abbiamo più bisogno?

 

Un Risveglio alla Teshuvà

 

Il motivo giace nel fatto che questa realtà stessa ha il potere di risvegliare e scuotere l’ebreo, portandolo a fare teshuvà. Infatti, quando un ebreo medita sulla grandiosa forza che il Satàn può esercitare su di lui, al punto di privarlo di mitzvòt così importanti per non dare a questo angelo la possibilità di accusarlo, egli si risveglia automaticamente alla teshuvà, correggendo le proprie azioni e la propria condotta.

 

Questo risveglio alla teshuvà risveglia a sua volta la misericordia divina sul popolo ebraico, donandogli un anno buono e dolce in tutti i sensi, amèn!

 

(Da Shulchàn Shabbàt Devarìm, p. 259, adattato da un discorso del Rebbe di Lubavitch)

 

*****

Una volta, alla vigilia di Yom Kippùr, i gabbaìm[4] del bet haknesset del Ba’al Shem Tov si rivolsero allo tzaddìk con un’insolita richiesta:

“Vorremmo abolire l’usanza di girare nella sinagoga, alla vigilia di Yom Kippùr, con il vassoio per la raccolta della tzedakà”, gli dissero. “Il tintinnìo delle monete disturba e confonde coloro che desiderano prepararsi al grande giorno con la dovuta concentrazione!”.

E il Ba’al Shem Tov, stupito, ribattè: “La tzedakà confonde??? Si, in effetti avete ragione: confonde il Satàn!”.


[1] Il codice fondamentale della legge ebraica.

[2] Cf libro di Iyòv da 1, 6 in poi.

[3] Rosh Hashanà 16a.

[4] Tesorieri, amministratori.


Thursday, August 27, 2009

Un ragazzo irlandese con un nome ebraico

Un ragazzo irlandese con un nome ebraico

Di: Tuvia di Bolton

Ho sentito questa storia dal segretario del Lubavitcher Rebbe, Rabbi Laibel Groner.

 Una donna dalla  Comunità Chabad-Lubavitch di Brooklyn è stata fermata da un poliziotto newyorkese t per alcuni violazione del traffico. Standing outside her open car window and watching her search for her license and registration papers, the police officer caught sight of a picture of the Lubavitcher Rebbe in her open purse. P fuori la sua auto aprire la finestra e guardando la sua ricerca per la sua licenza e la registrazione documenti, il funzionario di polizia catturato dalla vista di un quadro dei Lubavitcher Rebbe nella sua borsa aperta.
"Excuse me, maam," he asked, "are you one of the followers of this Rabbi?" "Mi scusi, maam", egli ha chiesto, "Sei uno dei seguaci di questo Rabbi?"
"Yes," she replied. "Sì", ha risposto.
"Well, in that case I'm not giving you a ticket." "Beh, in questo caso non sto dando un biglietto." He closed his ticket book and continued, "Do you know why? Because this Rabbi," he pointed to the picture she was now holding in her hand, "Did a very big miracle for me." Egli ha chiuso il suo biglietto libro e ha continuato, "Sai perché? Perché questo rabbino", ha sottolineato l'immagine è stata ora detiene in mano ", ha fatto un miracolo molto grande per me."
"Well," said the grateful woman, "since you aren't giving me the ticket, I have time to hear the story." "Ebbene," disse il grato donna, "poiché non siete avermi dato il biglietto, ho il tempo per ascoltare la storia."
The policeman smiled and said, "It's my favorite story, but I haven't told it to many Jewish people, in fact I think that you are the first." Il poliziotto sorrise e disse: "E 'la mia storia preferita, ma non ho detto che a molti popolo ebraico, in effetti credo che tu sei il primo." The cars were whizzing by behind him and he had to raise his voice slightly. Le vetture sono state whizzing dietro di lui ed egli ha dovuto alzare la sua voce leggermente. "The story goes like this: I used to be in the police escort that once a week escorted the Rabbi to the Montefiore Cemetery (where the Rebbe's father-in-law and predecessor, Rabbi Yosef Yitzchak Schneersohn, is interred). I got to know some of the young men who accompanied the Rebbe, and I learned a lot of things. They are very friendly people, which you probably already know, and we talked a lot while the Rabbi was inside praying. "La storia racconta come questo: ho usato per essere nelle forze di polizia di scorta che una volta a settimana scortato il rabbino a Montefiore il Cimitero (dove il Rebbe's suocero e predecessore, il rabbino Yosef Yitzchak Schneersohn, è interred). I got a conoscere alcuni dei giovani che hanno accompagnato la Rebbe, e ho imparato un sacco di cose. Essi sono molto amichevoli persone, che probabilmente già sapete, e abbiamo parlato molto, mentre il rabbino è stato all'interno di pregare.
"Well, one day I saw that all the fellows there were really talking excitedly to each other so I asked them what happened. So they told me that the Rabbi does a lot of miracles for people, but today he did a miracle that was really something. I didn't even ask what was the miracle that they were talking about, I just asked them if the Rabbi helps non-Jews also. "Beh, un giorno ho visto che tutti i borsisti ci sono stati veramente parlare excitedly gli uni agli altri così ho chiesto loro che cosa è successo. Così mi hanno detto che il rabbino fa un sacco di miracoli per le persone, ma oggi ha fatto un miracolo che è stato davvero qualcosa. Non ho anche chiedere qual è stato il miracolo che sono state parlando, ho appena chiesto loro se il rabbino non aiuta anche gli ebrei.
"'Sure,' they said, 'The Rebbe helps anyone who asks. Why? Do you need something?' " 'Certo,' hanno detto, 'Il Rebbe aiuta nessuno che chiede. Perché? Avete bisogno di qualcosa?' So I told him, this young fellow, that me and my wife had been married nine years with no children, and a week ago the doctors told us that we had no chance. We had spent a lot of money on treatments, seen all sorts of big professors, we were running around like crazy for the last six or seven years, and now they told us that they tried everything and there is no chance. You can't imagine how broken we were. My wife cried all the time and I started crying myself. Così gli ho detto, questa giovane borsista, che me e mia moglie era stata sposata nove anni senza figli, e una settimana fa i medici ci hanno detto che abbiamo avuto alcuna possibilità. Abbiamo speso un sacco di soldi a trattamenti, visto tutti i tipi di grandi professori, eravamo circa in esecuzione come una pazza per gli ultimi sei o sette anni, e adesso ci ha detto che hanno cercato di tutto e non vi è alcuna possibilità. Non è possibile immaginare come ci è stato rotto. Mia moglie piange tutto il tempo e le Ho iniziato a piangere me stesso.
"So this young man tells me, 'Listen, the next time that you escort the Rebbe to the cemetery stand near the door of his car and when he gets out ask him for a blessing.' "Così questo giovane uomo mi dice, 'Ascolta, la prossima volta che si scortare il Rebbe al cimitero stand vicino alla porta della sua auto e quando viene fuori lui per chiedere una benedizione.' So that is just what I did. The next time I was in the escort I stood by his door and when he got out I said to him: 'Excuse me, Rabbi, do you only bless Jewish people or non-Jews too?' In modo tale che è solo ciò che ho fatto. La prossima volta mi è stato il nucleo di scorta in mi sono dalla sua porta e quando si è fuori ho detto a lui: 'Mi scusi, rabbino, lei solo benedica popolo ebraico o non-ebrei?'
"So the Rabbi looked at me like a good friend, it was really amazing, and said that he tries to help anyone he can. So I told him what the doctors said, and he said I should write down on a piece of paper my name and my father's name together with my wife's and her father's names and that he would pray for us. So I did it, my hands were shaking so much I almost couldn't write, but I did it and you know what? My wife became pregnant and nine months later she gave birth to a baby boy! The doctors went crazy, they couldn't figure it out, and when I told them that it was all the Rabbi's blessing they just scratched their heads and -- Wow! I felt like the champion of the world! "Così il rabbino mi guardava come un buon amico, è stato davvero sorprendente, e ha detto che egli cerca di aiutare chiunque può. Così gli ho detto quello che ha detto i medici, e ha detto vorrei scrivere su un pezzo di carta il mio nome e di mio padre, insieme con il nome di mia moglie e suo padre, nomi e che avrebbe prega per noi. Così ho fatto io, le mie mani sono state agitando così tanto ho quasi non poteva scrivere, ma ho fatto io e lei sa che cosa? Mia moglie divenne incinta e nove mesi dopo ha dato vita ad un bambino ragazzo! I medici si è pazzo, non potevano cifra fuori, e quando ho detto loro che era tutto il rabbino della benedizione che solo graffiato la testa e - Wow! I sentivo come il campione del mondo!
"But here comes the good part. Do you know what we called him? What name we gave our baby boy? Just guess! We called him Mendel after the Rabbi. At first my wife didn't like the name because its not an American name, but I said, No! We're calling him Mendel! Each time we say his name we'll remember that if it weren't for the Rabbi this boy would not be here. "Ma è qui che la buona parte. Sapete ciò che abbiamo chiamato lui? Nome Che cosa abbiamo dato la nostra baby boy? Basta indovinare! Abbiamo chiesto lui Mendel dopo il rabbino. A prima mia moglie non piaceva il nome perché la sua non un americano nome, ma ho detto: No! Stiamo chiedendo lui Mendel! Ogni volta che diciamo il suo nome ci ricorda che, se non fosse per il Rabbino questo ragazzo non saremmo qui.
"But when our parents heard the name they really objected. They said, 'With a name like that, all the kids will think he's a Jew or something and they will call him names and be cruel to him. Why make the kid suffer for no reason?' "Ma quando i nostri genitori sentito il nome di cui hanno veramente opposti. Hanno detto, 'Con un nome così, tutti i bambini ci penseranno è un Ebreo o qualcosa e si chiamerà lui nomi ed essere crudeli verso di lui. Perché fare il bambino soffre per senza alcuna ragione? ' 'That's just what I want,' I said to them. 'When he comes home and says that the other kids called him names and beat him up because he has a Jewish name, I'll tell him that I want him to learn from those other kids how not to behave. They hate the Jews for no reason, but you should love the Jews, you should help the Jews. You just tell them that without that Jewish Rabbi called Mendel you wouldn't be here at all, and then maybe they'll start thinking differently too!' 'Questo è solo ciò che voglio,' ho detto a loro. 'Quando egli venga a casa e dice che gli altri bambini lo chiamò nomi e battere lui perché ha un nome ebraico, I'll dirgli che io voglio lui da imparare da quelli di altri bambini come non comportarsi. Essi odiano gli ebrei senza alcuna ragione, ma è necessario amare gli ebrei, si dovrebbe aiutare gli ebrei. Devi solo dire loro che, senza che rabbino ebraico si chiama Mendel non saremmo qui a tutti, e poi forse verrà iniziare a pensare diversamente troppo! '